Anticipato dai singoli “Africa” e “Cantaré” è fuori “V”, il nuovo disco di Mannarino, quinto album in studio dell’artista romano. La recensione.
L’ultima “fotografia” personale che ho di Mannarino è il suo “Apriti cielo – Il gran finale” in quel di Capannelle a Roma. Un evento che più che un concerto è stato una festa, un rituale di gruppo che è poi l’esperienza che caratterizza il rapporto tra l’artista romano e il suo pubblico fin dagli inizi. Questo cerimoniale, in quest’ultimo lavoro, è più vivo che mai.
La Pandemia ha costretto Mannarino, come tanti altri artisti, a rinviare l’uscita del nuovo disco e poi del tour programmato per il 2020. Più che costrizione, in verità, si dovrebbe parlare di scelta consapevole. Una scelta fatta da qualcuno che sa che ciò che metterà nelle mani del suo pubblico – in grado di pazientare fedele per 4 anni dopo il precedente “Apriti cielo” – è un dono, una perla preziosa che ha bisogno di essere consegnata nel momento giusto solo a coloro che hanno saputo attendere.
Quel tempo di fermo per molti, amplificato dalla Pandemia, credo, sia stato utile a Mannarino per raffinare ancora il suo lavoro, nonostante potesse sembrare già pronto. Ma “V” è così speciale proprio perché è il frutto di un cammino nato nel momento in cui sembrava di essere arrivati a compimento. Il frutto di nuovi suoni, nuovi incontri, colori e sfumature che si aggiungono al viaggio e che, diversamente, sarebbero andati a finire chissà dove. Perché è quando ci si convince di essere arrivati che tutto può ricominciare.
Mannarino raggiunge con questo disco un altro traguardo di maturità, che mette un nuovo tassello a quanto già aveva fatto con “Al monte”, un album capolavoro con il quale aveva chiarito che la sua verace romanità dei primi due album è una radice profonda che avrebbe, ovviamente, contraddistinto il suo percorso artistico riuscendo, però, a rimanere fuori dall’idea di etichetta e dagli schemi della nicchia locale per raccontarsi anche al di là dei confini.
Con “V” Mannarino non si accontenta di raccontare la sua città o il suo Paese in quella chiave che resta comunque tagliente e ironica e che contraddistingue da sempre la sua scrittura. Con questo disco, l’artista romano fa qualcosa che solo pochi nel nostro panorama possono permettersi di fare: tornare a scrivere prima di tutto per se stessi, per l’esigenza di comunicare quel fiume di vita e di nuova consapevolezza appresa che scorrono nelle vene. Raccontare i suoni del mondo che lui stesso ha conosciuto in prima persona, invece che cavalcare mode o generi dettati dall’esterno. É questo che rende Mannarino sempre riconoscibile, ma mai caricatura di se stesso.
Un flusso, un fiume in piena, ci viene incontro mettendo il disco in play. “Africa” è la traccia di apertura, è un biglietto da visita che porta in sé molto di questo lavoro e con il quale l’artista ci prende per mano per introdurci nel viaggio che sta per iniziare.
Non è possibile scomporre il disco e raccontarlo traccia per traccia, o almeno io non voglio farlo in questo caso, perché siamo davanti ad un cammino che deve essere compiuto dall’inizio alla fine, dove ogni passo, ogni brano, è un tassello che aggiunge qualcosa all’esperienza personale dell’artista, e anche alla nostra, e che può essere interiorizzata solo da chi lo ha percorso insieme a lui. Un cerchio che non si chiude mai ma si rigenera in un moto perpetuo mentre intorno a noi c’è la natura, la luce della luna, il rumore delle stelle; il sangue ci scorre nelle vene, la vita trema e torna a pulsare al ritmo delle canzoni.
“Andiamo a nascere in Africa”: il continente è una donna dalla quale tutto ha origine. Non parliamo di un luogo specifico, ma di un simbolo, una nuova dimensione nella quale entrare per ritrovare le nostre radici, per riappropriarci della nostra anima lasciando fuori la logica, le tavole apparecchiate e il comodo riparo delle nostre case. É la rappresentazione di un luogo in cui siamo spinti a danzare sulle note di un canto corale. Un rituale purificatore intorno ad un totem che non è un dio costretto nella piccola logica umana ma la stessa Natura alla quale siamo indissolubilmente legati.
“V” è discesa nelle viscere della terra, è rifugio e mistero, è sorgente di vita, è fuoco primordiale che divampa, è acqua viva che fluisce dando forma a ciò che incontra sul suo cammino. Acqua che cade dal cielo e irriga la terra e al cielo ritorna. Acqua che incontra quel fuoco eterno senza interferire con il suo essere perché convivere è l’unica soluzione possibile.
Mannarino canta il Principio, una dimensione in cui gli elementi si mescolano, in cui le lingue si incontrano sul suono di tamburi lontani. Qui realizziamo, con tutto il nostro essere, una conoscenza ancestrale che sembrava persa: è lasciandoci trasportare che ci ricongiungiamo a noi stessi per scoprire di essere profondamente legati alla Terra dalla quale tutto prende forma. Ed è così che tutto è una cosa sola. E se le differenze esistono, queste sono l’essenza stessa dell’essere, preziosa ricchezza e linfa vitale.
É per questo che ballare diventa una mossa politica, un canto di protesta che colpo dopo colpo abbatte ogni muro. Le chiusure sono un controsenso, raccontano di quella paura che, oltre al rapporto con gli altri, blocca prima di tutto noi stessi perché limitano la nostra conoscenza, quell’esperienza che ci porta a crescere ed essere liberi. Ma è il sistema che ci porta a credere di doverci difendere:
“Ma che può fare uno da solo contro il sistema?
Ah se fossimo in tanti, se fossimo in tanti saremmo il sistema”
…canta Mannarino in “Paura”, brano che chiude il disco in semplicità, come un ritorno alle origini, mentre la Natura si acquieta. Quell’origine che, anche dopo un lungo viaggio, mai si dimentica e alla quale sempre si ritorna.
Venere Voce Vita Ventre
Valore Volume Veleno
Violenza Villaggio Vertebre
Vagina Vulcano Vagabonda
Vento Vene Vegetazione
Vanità Verbo Verità
V è tutte queste cose eccetto che Vittoria, perché vincere in Natura è un concetto estraneo.
E allora è qui che diventiamo protagonisti. La donna in passamontagna della copertina è ognuno di noi. Ma possiamo scegliere: quel passamontagna è difesa o liberazione? Sta a noi abbassarlo per combattere e andare in guerra, o toglierlo per mostrare al mondo chi siamo per davvero sotto alle maschere che ogni giorno siamo costretti ad indossare.
https://www.noisesymphony.com/2018/07/27/mannarino-gran-finale-rock-in-roma/