U2 Songs of experience: aprendo i sigilli al libro del cuore

U2 SONGS OF EXPERIENCE

E’ uscito l’1 dicembre il quattordicesimo album in studio degli U2 Songs of experience, secondo atto di un lavoro ispirato alla raccolta di poesie di William Blake. Noi ve lo raccontiamo con una mano sul cuore…

Dicembre inizia, tra le altre cose, con il nuovo -tanto atteso- disco degli U2, fratello maggiore del precedente “Songs of innocence” (Soi), ispirato dalla raccolta di poesie di William Blake “Songs of innocence and experience”.

Songs of experience : ti guardi alle spalle e ti focalizzi finalmente sul presente, gettando via quell’occhio al futuro che avevi nell’inesperienza di quando non sapevi che il domani si potesse costruire solo curando l’oggi.

Ed è con un’apertura epica che inizia il viaggio consapevole nelle Canzoni dell’esperienza: Love is all we have left. L’atmosfera è subito familiare per i fan di lunga data: un salto indietro di 20 anni a If you wear that velvet dress di Pop, quell’album crocifisso da molti che, a sonorità è troppo avanti persino oggi e, in quanto a testi, c’è dentro tutta la ricerca del significato nella più profonda oscurità umana.

La voce di Bono è da subito un approdo sicuro “Niente fermerà questo giorno dall’essere il migliore di tutti”. E’ una promessa. Verrà mantenuta? La sensazione è quella di sollevarsi su di un tappeto volante che ti porta in volo ad esplorare la Terra dall’alto. A metà del brano la calda voce di Bono si trasforma con l’uso del vocoder dandoci subito l’illusione che nel disco ascolteremo qualcosa di così terribilmente tecnologico che ci sbaraglierà. E invece non ci sarà nulla di trascendentale.

Il filo conduttore è puntualizzato immediatamente: l’Amore in ogni sua forma, l’unica cosa che, nel percorso tra la nascita e la morte, ci permetterà di risorgere alla vita eterna. Qui. Ora. “This is no time not to be alive” perché l’Amore è tutto quello che ci rimane.

U2 SONGS OF EXPERIENCE

Songs of experience è il disco personale di Bono. Questo è sottolineato con una lettera che per la prima volta lo stesso frontman scrive nel booklet di un disco della band di Dublino, in cui snocciola la sua vita intera attraverso la tracklist. Una lettera ai fan, alla sua famiglia, alla band, a se stesso…stesa con il cuore in mano. Blu su nero, non facile per gli occhi da leggere, ma quando riesci a decifrare il messaggio quella perla è ormai incastonata in te.

La morte ha caratterizzato la sua vita fin dall’inizio; quella di sua madre, quando era solo un teenager, lo ha costretto ad affondare nel vuoto e nella paura. Ma, come dice il Dalai Lama “Ogni meditazione sulla vita deve iniziare con una sulla morte”. E allora quella morte, se le permetti di lavorare il tuo spirito, si trasforma in una sfida necessaria che definirà la persona che un giorno diventerai. Sarai tu a dominarla, non lei a dominare te. La morte non avrà più l’ultima parola sulla vita e, addirittura, potrai cantarla e così esorcizzarla.

Quel viaggio sul tappeto volante ci accompagna a vedere le luci di casa dall’alto. Lights of home, segnata dalla chitarra di Edge, è un grido a Dio… “o come lo si voglia chiamare”. “Oh Gesù, se sono ancora tuo amico, che diavolo hai in serbo per me?”. Non sappiamo qual è la direzione ma una voce dentro ci dice “Liberati per essere te stesso. Se solo potessi vedere te stesso !” (riprendendo il mantra di Iris – Hold me close, del fratello minore)…allora si che lo scoprirai! E se la risposta non dovesse arrivare quando te lo aspetti tu, saranno gli occhi di Iris…di Bob, di Ali, di chi ti è accanto, a parlarti.

You’re the best thing about me è una canzone d’amore dedicata da Bono alla moglie Ali. Una seconda The sweetest thing, la più radiofonica dell’album, già ascoltata come singolo prima dell’uscita del disco. Nessun miracolo musicale, ma nella tracklist scorre poco pretenziosa creando una piacevole connessione con la successiva (altro singolo estratto) Get out of your own way: un’esortazione ad entrare nella Terra Promessa, che rimanda alle note di Beautiful Day. Tocca a te fare il passo “Niente può fermarti tranne quello che hai dentro. Io posso aiutarti ma è la tua battaglia personale”. Il brano si conclude con il monologo di Kendrik Lamar che in un continuum apre anche il successivo American Soul. Non è una botta di americanismo tutta insieme: riprendendo la “Volcano” di Soi, racconta l’America come idea; l’America dell’accoglienza, quella che tende la mano a quanti cercano rifugio “come te e me”; quell’America che non alza muri o “banna” le persone “Let it be unity, let it be community For refugees like you and me”.

https://www.youtube.com/watch?v=efi4SCY0TA0

Summer of Love: il groove estivo del brano nasconde un messaggio più importante: “I’ve been thinking about the West Coast Not the one that everyone knows In the rubble of Aleppo Flowers blooming in the shadow”. La West Coast non è la California con i suoi favolosi tramonti ma la Syria, quel posto che la gente lascia “credendo che tutto quello che bisogna fare è andare altrove”. Sempre che, attraversando il mare, si riesca ad arrivare.

Red flag day. E ci riaffacciamo al 1983. Un inno che continua in modo musicalmente più impegnato l’intenzione del brano precedente “Il cielo presto si schiarirà, oggi non possiamo permetterci di avere paura delle nostre paure.”. Bisogna proprio attraversare il mare.

The Showman è un brano un po’ beatlesiano e se ragioniamo nella chiave di lettura di canzoni come lettere, questa è scritta per i fans: la rockstar che smette i panni e si confessa a quanti accorrono ad adorarlo “E’ quello che è ma non è come sembra” perché alla fine le rockstar sono le ultime persone che dovresti ascoltare quando non stanno cantando.

The Joshua Tree

Chi ha visto gli U2 dal vivo con il loro tour celebrativo del Joshua Tree aveva forse già avuto modo di assaggiare qualcosa del nuovo disco con la versione acustica di The little things that give you away. Personalmente è un brano che ho rivalutato proprio su questo disco grazie all’arrangiamento e le incisive chitarre di Edge che accompagnano il testo. E, ancora una volta, è con uno sguardo alla lettera di Bono che se ne coglie il significato “Se davvero vuoi arrivare dove la scrittura vive, allora scrivi come se fossi morto”: questa è la sfida del poeta Brendan Kennelly. E allora il protagonista della storia esce fuori da se stesso, abbandona il suo ego, abbassa il volume di tutte le cose che girano in quella testa affollata per risintonizzarsi con la Parola che gli sussurra Dio, o il suo stesso spirito che a Lui è legato.

E poi ancora lettere: “Landlady”, di nuovo dedicata alla sua Ali che lo porta a vedere le stelle e lo conduce dove mai oserebbe.

The blackout: le stelle, quelle che seguono il palpitate del basso di Adam. È quel buio che fuggiamo la cosa necessaria per poterle osservarle. “The darkness where you learn to see”.

E poi le parole per i suoi figli, quelli di un genitore che sa che stanno crescendo e intraprendendo il loro cammino personale in “Love is bigger than anything in its way”: La porta è aperta. Se potessi verrei anche io ma sei tu che costruisci il tuo cammino”.

L’album (nella versione “normale”) si chiude con “13 – (There is a light)”, che riprende “Song for someone” del lavoro precedente. “Sappi che il buio si raduna sempre intorno alla luce”.  E prima che quel bambino innocente dentro di te apra gli occhi e ti abbandoni per lasciare il posto alla persona adulta, Bono ha una domanda: “Sei abbastanza forte da essere gentile? Lo sai che il cuore ha una sua propria testa?”. Nel booklet è indicato il Salmo 100: “Varcate le porte con inni di grazie”. Grazie è la parola d’ordine che ti permette di mantenere vivo il bambino dentro di te, la purezza che è condizione fondamentale nella relazione con l’altro.

“Ma non siamo di questo mondo”. Menzione speciale per “Book of your heart”, brano contenuto nella versione deluxe del disco, la chiave che permette di aprire i sigilli.

E allora questi brani, che riprendono in più spunti quelli del lavoro precedente, non sono dettati da un’assenza di idee, ma dalla consapevolezza a cui arriva un adulto libero di vivere la condizione di uomo soltanto dopo aver capito la necessità di ogni momento buio di vita vissuta.

Da fan degli U2 non era mia intenzione recensire l’album con lo sguardo tecnico, e nemmeno quello di snocciolare canzone per canzone. In ogni caso, raccontarne una per una era per me fondamentale per spiegarne il concetto dietro all’apparenza.

Ho letto molte critiche in questi giorni sulla mancanza di idee e innovazione della band irlandese, ma sono convinta che un Joshua Tree o un Achtung Baby non verrà mai più scritto, né da loro né da nessun altro. La musica sta cambiando e chi sbaglia è solo chi non si emoziona più, chi mantiene alta l’aspettativa di qualcosa che mai sarà più come prima…perché quel bambino è cresciuto, è passato attraverso la morte ed è rinato a vita nuova.

#FollowtheNoise…

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