Non è sbucato fuori dal solito talent, ma si è davvero fatto strada da solo “come si faceva una volta” dimostrando che, passetto dopo passetto, si costruisce il percorso che porta alla meta. Perché nel cuore della gente ci entri conquistandola, con la tua arte, con le tue parole e con le note che scegli per vestire una canzone. È Maldestro, attore di teatro e autore di spettacoli che, da quando ha deciso di dedicarsi anche alla musica, ha fatto incetta di premi. Noi abbiamo chiacchierato al telefono con lui in occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro I muri di Berlino e in attesa di vederlo dal vivo.
Cita Troisi quando dice che i trofei li nasconde perché ha paura dei ladri, ma al di là dei premi che gli ricordano il valore di quello che crea, Maldestro è forte davvero. A metà strada dai grandi di un tempo e dagli odierni cantautori del disagio che “‘mai una gioia” c’è lui. Si, canta del quotidiano, ma lo fa con una profondità mista a un’ironia che ti depista, sempre comunque lontano dal tono polemico e lamentoso.
Maldestro, secondo classificato nella categoria Nuove Proposte e vincitore del Premio Mia Martini nell’ultimo Festival di Sanremo, di cose da dire ne ha davvero molte. Lo fa tramite le immagini, raccontando quei momenti del quotidiano che sembrano scontati, così scontati che nessuno riesce più a notare perché sempre persi nei nostri telefoni.
I muri di Berlino è una bellissima opera d’arte nella quale Maldestro sviscera la sua vita, e quella di tutti noi, prendendo ispirazione da ciò che vede intorno a sè. Parla dell‘amore consumato, quello di due che si tengono per mano fino al capolinea, tocca l’argomento immigrazione strappando lacrime mentre parla attraverso gli occhi di un bambino, e ricorda a tutti che si è anche un po’ frantumato i cosiddetti quando continuano a chiedergli chi era sua padre. Già, perché Maldestro, all’anagrafe Antonio Prestieri, è il figlio di un boss della camorra. Viene da Scampia ma grazie a “mamma Batman”, come la chiama lui, ha avuto gli strumenti per diventare un altro. Il destino da tragedia greca delle colpe dei padri può essere spezzato e la musica può aiutare a farlo. Ha un animo sensibile Maldestro e a noi da dove viene ce ne frega poco. Ci interessava soprattutto capire dove stesse andando. Attore e autore di teatro prima di tutto, e reduce dall’ultimo Festival di Sanremo con la bellissima “Canzone per Federica” con cui ha conquistato critica e pubblico, ora non vede l’ora di ricominciare a suonare e portare il suo spettacolo fatto di musica e prosa a quella stessa gente che lo ha accolto a braccia aperte.
Ciao! Quello che mi ha colpito di questo tuo ultimo disco è la capacità che hai di parlare per immagini. Come nascono le tue canzoni?
In modo naturale…cerco di raccontare quello che ho dentro e quello che mi circonda. Io sono affascinato dagli uomini, dalle loro grandezze e dalle debolezze e quando non sono le mie, o non mi va di raccontarle, cerco di rubarle dagli altri per poi farle mie. Sono un buon ladro (ride).
Nel brano “Tutto quello che ci resta” parli di un amore consumato che giunge al capolinea come un tram. Cos’è per te l’amore e come si fa a mantenerlo sui binari?
Ehhhhh domanda da un milione di dollari. È troppo riduttivo quando si vuole inscatolare l’amore in una coppia. L’amore è ovunque, e proprio per questo poi si rischia di portare i problemi nella coppia. L’amore è accettare l’imperfezione dell’altro, e quando si arriva ad amare i difetti di una persona, credo che si completi quell’amore ideale che tutti noi rincorriamo. È molto difficile, perché ad un certo punto entrano in gioco cose come la noia e le abitudini, e quell’amore forte svanisce. Si rischia di distruggere tutto perché si cerca negli altri quello che ti è mancato prima, e questo continuo rinnovamento delle cose dei primi mesi è un po’ da bambino, da immaturi. Non siamo bravi a tenerci le cose belle come l’affetto e il bene. C’è chi dice che l’amore dura un tempo, chi dice che l’amore è proprio quello che viene dopo l’istinto, dopo le passioni. Io sto ancora capendo dove sto…
In “Sporco clandestino” racconti in modo molto commovente l’immigrazione vista dagli occhi di un bambino. È un argomento che ti tocca particolarmente?
Quello che mi colpisce di questo tipo di storia, quando mi arrivano info dai media, o addirittura da alcune storie sentite da persone che hanno affrontato questo tipo di viaggio, sono i bambini ed è quello che mi fa sempre più male di tutto. Credo che la meraviglia di un bambino sia la cosa più preziosa, è quella che fa muovere il mondo, è quella che noi perdiamo da adulti e poi diventiamo brutti, dubbiosi. Mentre la meraviglia di un bambino è una cosa che non va toccata e quando viene rubata in modo innaturale, credo si commetta il crimine più grande della terra. Sono stato anche io un bambino e ho perso la meraviglia forse troppo presto, e questa è una cosa che mi fa gelare il sangue. Ho cercato di raccontarla tramite gli occhi di un bambino proprio per svuotarmi di certe cose, e scrivere è l’unico modo che ho di consumare il mio dolore. Fossi un eroe li salverei tutti, ma purtroppo sono un omino piccolissimo con i suoi 150mila difetti.
In “Io non ne posso più” dici che sei stanco del giornalista che ti chiede chi era tuo padre. E infatti non te lo chiedo. Ti chiedo invece se si può trovare il modo di cambiare nome per staccarsi dall’etichetta che la gente ti ha affibbiato a causa di un passato. Il tuo nome d’arte nasce anche per questo?
In realtà ho scelto il mio nome d’arte perché mi piaceva dare al mio progetto un nome che mi rappresentasse più del mio nome reale. Già in tempi non sospetti i miei amici mi chiamavano Maldestro perché ovunque andassi facevo danni irreparabili. Se cadevano piatti e bicchieri tutti si giravano verso di me in modo automatico, e anche se io a tavola non c’ero loro pensavano comunque fossi stato io. Quindi ho voluto che il progetto fosse rappresentato proprio dal mio modo di essere nel quotidiano. Ho voluto portarlo anche sul palco, proprio perché sto sempre con la testa da un’altra parte e spesso mi è capitato di non togliere i jack e di portarmi tutte le amplificazioni appresso. Il nome d’arte non è un modo di staccarmi dal passato, tra l’altro è un passato che mi hanno affibbiato gli altri, non è che io ho fatto delle cose e poi ho cambiato vita. Io quelle cose le ho subite di rimando dagli altri, la classica tragedia greca delle “colpe dei padri” che devono pagare i figli. Non ho nulla da cambiare perché grazie a mia mamma, ho vissuto un passato bellissimo completamente in un altro modo e in un altro posto, poi da grande me lo hanno fatto pesare perché ti porti addosso i nomi, cognomi, e le etichette che ti hanno dato e contro cui uno combatte.
So che sei impegnato molto nel sociale…
Sono impegnato da sempre nel sociale, per un dovere cittadino più che altro, perché voglio provare a dare qualcosa a chi è stato più sfortunato di me. Io per fortuna ho una mamma straordinaria che mi ha dato gli strumenti giusti per capire cosa fare nella vita e come riconoscere i propri mali. Ogni volta che vado nelle scuole o nelle carceri mi dico “Oggi vado ad insegnare qualcosa”, invece poi mi rendo conto che sono stati loro ad insegnare qualcosa a me, e non c’è musica o teatro che ripaghi di questi incontri.
Che rapporto hai con il tempo che passa?
Tu fai domande alla Marzullo (ride). Ho un pessimo rapporto! Non riesco a consumarlo, ad esempio ho difficoltà ad accettare le buone notizie e la felicità è una cosa che c’entra molto col tempo per me. La vivo malissimo perché non ne conosco la durata e allora mi metto lì a pensare in continuazione “chissà quanto durerà”, e allora succede che finisce e non me la sono vissuta e così me la perdo. Sto sempre in partenza, mai in arrivo, sempre con i bagagli pronti, non mi fermo mai. Venti minuti dopo la chiusura del disco già stavo pensando a cosa fare per riempire il mio tempo. Ci devo lavorare su questa cosa, forse ci vorrà qualche analista (ride).
Tu sei attore e autore di teatro prima di tutto. Questa cosa ti ha aiutato nel comporre musica?
Il teatro è la mia vita, probabilmente più della musica. È il mio rifugio, il posto in cui vorrei vivere da mattina a sera, stare lì, mangiare lì, dormire lì. In realtà il primo incontro è stato con la musica perché ho iniziato col suonare il pianoforte e poi sono entrato in questo mondo pazzesco che è il teatro e che mi ha rapito: la polvere, la sua umidità, è una cosa magica. Ho iniziato a fare l’attore, poi a scrivere le commedie, le drammaturgie. Inevitabilmente questa esperienza, che è un bagaglio culturale, te la porti appresso e infatti ho scoperto che anche nella composizione musicale c’è molto teatro. Anche raccontare le cose per immagini secondo me deriva da quel mondo. È una cosa che per il momento ho lasciato lì in disparte per portare avanti questo progetto musicale, ma tornerà sicuramente nella mia vita perché è sempre al primo posto. Anche I muri di Berlino comunque verranno raccontati attraverso la prosa con tre monologhi che ho scritto.
“Canzone per Federica” è dedicata ad una tua cara amica che hai conosciuto in teatro. Quant’è importante per te avere le persone giuste accanto?
Nella vita da soli non si va da nessuna parte. Quando invece intorno ci sono persone che credono in te, o vivono con te quello che stai vivendo tu, diventa fondamentale avere chi ti sostiene o ti ispira. Tutte le mie canzoni sono ispirate e fatte di vita vera, ed è grazie a loro che io scrivo. Federica mi ha chiesto i diritti di ispirazione “Sei andato a Sanremo grazie a me perché io ti ho ispirato quindi voglio i diritti di ispirazione”. Le devo fare un assegno a breve.
Com’è stata l’esperienza di Sanremo?
È stata proprio bella! L’ho vissuta in modo sereno, quasi come un gioco perché è così che si devono vivere le cose. Eduardo diceva “il teatro è un gioco serio” e io lo penso anche della musica. Per me è stata un’esperienza vissuta con tranquillità assoluta, forse anche troppa, ma mi sentivo a casa mia. Le persone accanto a me mi chiedevano se avevo ansia…ma quale ansia? Io dovevo cantare una canzone, mica dovevo fare la guerra. L’ansia deve averla un soldato, non io che sono andato a fare quello che amo. C’è l’adrenalina, per carità, ma è la stessa cosa che ti da il teatro. Il minuto prima di entrare in scena mi si apre un mondo, ma quando fai quello che ami non devi aver paura. Poi al di là dei premi, che ti fanno crescere e ti danno autostima, penso che il premio più importante sia emozionare la gente, lasciare un solco nelle persone. Per me i premi stanno a casa a prendere la polvere, anzi, è più un fastidio per chi pulisce casa.
Cosa fai fuori dal palco?
Le cose che fanno tutti quanti penso…mi piace andare a teatro quando non sono io a stare su un palco. Ultimamente la mia vita si sta circondando troppo di arte e penso di dovermi un po’ staccare da questa cosa e tornare nella mediocrità, che è importante, perché ogni tanto fa bene essere scemi. Mi piace il calcio, che è una cosa mediocre, tifo per il Napoli e divento anch’io un italiano medio. Sono molto casalingo, sono pigro, anche se non dormo mai perché la trovo una perdita di tempo. A me piace molto stare fuori dalla finestra e guardare il vuoto, poi capita che noto qualcosa e la scrivo. Io scrivo ovunque, alcune delle cose più belle le ho scritte in metropolitana o al ristorante sui tovaglioli. Quest’immagine del cantautore che scrive di notte da solo va un po’ sfatata…io ho scritto ovunque, ho scritto anche a Sanremo.
Che ne pensi di questa velocità che sta permeando fin troppo il nostro quotidiano?
Sembra che tu abbia visto il mio spettacolo precedente che parlava di tempo, di vortice (ride). La velocità sta rovinando tutte le cose. Se prendi un freccia rossa Napoli-Bologna ci metti 3 ore e 10, è vero che arrivi prima ma quante cose ti perdi!? I paesaggi, gli alberi, tutte quelle cose che prima con un Intercity che ci metteva 6 ore te le godevi. Alle Olimpiadi io metterei la categoria “Lentezza”, il più lento vince. In genere nella lentezza si percepiscono più cose. Ora stiamo tutti con la testa nei telefoni, mentre prima cercavi qualcuno con cui scambiare due parole e far passare il tempo. Magari incontravi qualche imbecille, ma su otto imbecilli due ti lasciavano qualcosa…invece ora ti siedi e tutto intorno c’è il deserto. Con chi parli? Credo che anche la musica sia entrata in questo sistema di velocità, tutto si consuma così presto ed è diventata più un sottofondo che qualcosa da gustare, ci sono troppe proposte. La democrazia da accesso a tutti e questa cosa è bella ma limita la qualità. Oggi tutti possono fare il disco a casa e quindi chiunque, pure chi suona una merda, lo fa. Siamo tutti criceti impazziti in questa ruota e i bulloni alla fine si staccheranno.
I muri di Berlino sono quei muri che costruiamo dentro e fuori di noi quindi?
Assolutamente! I muri che abbiamo dentro sono proprio quei muri che racconto nel disco, quelli che non ci fanno conoscere le persone, quelli che alziamo noi per non incontrare le persone perché pensiamo che se uno entra nella nostra vita la distrugge invece che migliorarla. Sono quei muri che abbiamo dentro che permettono a gente come Trump di alzare muri materiali, perché lui evidentemente dentro ha dei muri altissimi per volerne alzare altri al di fuori. E invece dobbiamo abbattere prima quelli che abbiamo dentro. I social ad esempio…li uso ma poco, mi piace usarli per comunicare con la gente e non per dire “Sto mangiando pasta e patate, sto facendo la doccia”…così si va nel delirio totale. I social possono essere un muro per una coppia perché si perde il contatto fisico, l’odore, il sentirsi, oggi è tutto di plastica e credo dovremmo invece ritornare ad annusarci come le bestie. Prima o poi inventeranno pure un’applicazione dove si può sentire l’odore dell’altro e qui l’unica soluzione sarebbe il suicido.
Tipo Black Mirror (che ancora non ho visto ma ne ho sentito parlare molto) ?
Forse è la più bella serie che abbia mai visto. La genialata di Black Mirror è che non parla di un futuro troppo futuro, ma di un futuro vicino a noi con alcune cose che stanno giù succedendo. C’è una puntata, ad esempio, in cui le persone danno un punteggio alle altre persone per strada proprio come fosse un like. Oggi succede proprio così: si valuta un musicista in base ai follower sulla pagina. Non ti aspettare finali a lieto fine, anzi, se hai del whiskey bevitelo !
Tu quali muri combatti?
Soprattutto i miei: la pigrizia credo sia una cosa bella da una parte, ma un muro dall’altra perché se non ci fosse potrei fare più cose. Oppure la fiducia verso gli altri è un muro, io do molta fiducia però poi non riesco a gestirla. O il muro del perdono anche, perché non riesco a perdonare. Oppure non so stare fermo mai un momento, tipo stare bene con una persona e accettare la noia come corso naturale delle cose.
E l’instore com’è andato?
Stancante da una parte perché cambiare città ogni giorno è stressante, per uno pigro soprattutto, ma sono successe delle cose che non mi aspettavo. Mi sono trovato davanti fan trasversali, dai 13 ai 60 anni. È bello arrivare al tredicenne e al sessantenne allo stesso modo e questa cosa mi ha molto divertito, come mi ha divertito questo rapporto speciale con i fan fatto di sentimenti belli e persone pure. Sono persone intelligenti i miei fan, sono belli, educati, mi abbracciano in una maniera fantastica…e poi mi hanno portato un sacco di regali: chi un dipinto, chi un pupazzo, chi mi ha lasciato l’indirizzo di casa (ride). Quattro anni fa chi se lo immaginava che avrei fatto un instore, io che ho sempre suonato nelle cantine. Non la rifarei mai, ma è stata una cosa bella (ride).
E ora invece stai per andare in tour…
Quello è il fine di ogni musicista. Non si può commettere l’errore di fare l’instore e basta. Ci sono alcuni che hanno dei fan con strumenti culturali limitati che vanno per farsi la foto col pischelletto, ma ai concerti non ci vanno perché sono piccoli o perché non gliene frega nulla del concerto tranne che dare il bacio al ragazzino con la chitarra ecc…e questa è la morte della musica. Negli instore ci vai per vendere i dischi che non si vendono, ma il fine del musicista è quello di suonare. Io devo stare tra la gente. L’anno prima di Sanremo ho fatto 150 concerti, dopo Sanremo non ho suonato ancora…tutta la presentazione, l’attesa, la promozione, la radio, la tv. Non vedo l’ora che arrivi il 12 aprile per andare in tour e suonare, sudare, sentire la puzza del furgone…quella è la musica!
E questi talent show?
Penso che se la stiano vedendo un po’ male però…vedo molti tour annullati. Per carità, magari il talent ha ragione di esistere, ma almeno permettessero a chi percorre un’altra strada di misurarsi nelle stesse cose. Se tu fai credere alla gente che esiste solo quello, quando la gente vede un Brunori Sas, dice “E chi cazzo è questo? È venuto dalla luna?”. Se la tv ti bombarda con la pubblicità su un tipo di pasta alla fine tu ti convinci che è buona anche se fa schifo, ma se gli dai la possibilità di scegliere tra diversi tipi, la gente ha un quadro generale delle cose e sceglie secondo i suoi gusti. Così con radio e tv, se tu passi il 50% di musica indipendente e 50% quella dei talent poi la gente decide dove andare, ma se al 90 % mi passi quelli dei talent è normale che uno come Brunori Sas o come me fa fatica, perché è strano per le orecchie della gente. La gente non è idiota ma viene “allevata” male. Bisogna cambiare il sistema e fare una legge come in Francia, ma noi siamo italiani e non francesi e come diceva Gaber “io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono”.
A proposito di Gaber. Ho letto spesso paragoni a lui. Ma al di là dei paragoni chi ti ispira veramente?
Mi dispiace per il signor G che deve sorbirsi questo paragone perché sarei felice con il 3% di quello che ha fatto lui ma, si, mi ha ispirato e anche oggi mi ispira. Ho imparato molto perché sono riuscito a mettere insieme le mie piu grandi passioni: musica e teatro. Lui fu il pioniere del teatro canzone ed è il mio obiettivo finale quello di riuscire a fare il teatro canzone. Poi il cantautore che mi ha fatto scegliere questo mestiere, che mi ha rovinato la vita (ride) è Ivano Fossati. Quando a 13 anni ascoltavo Fossati mi guardavo allo specchio pensando che un giorno avrei voluto essere come lui. Amo tutta la sua discografia ma il brano che mi emoziona di più e porterò anche nel prossimo live è Lindbergh.
Vai a vedere concerti dei tuoi colleghi?
Si, gli ultimi due concerti che ho visto sono stati quello di Diodato a Radio 2 e Brunori Sas a Napoli.
I MURI DI BERLINO TOUR
M 12/04 Bologna – Teatro San Leonardo
G 13/04 Roma – Auditorium Parco della Musica
G 20/04 Milano – Salumeria della Musica
M 26/04 Napoli – Teatro Bellini
V 05/05 Recanati – Teatro Persiani
S 27/05 Vicenza – Festival
S 25/06 Montesano sulla Marcellina (SA) – P.za F. Gagliardi
G 29/06 Salina – Salina Doc Fest
S 15/07 Odolo (BS) – Festival D-Skarika
V 28/07 Santt’Anna di Centobuchi (AP) – Piazza
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