Esce il 13 novembre “L’ultima casa accogliente” su etichetta Polydor/Universal, il nuovo lavoro discografico degli Zen Circus. La nostra recensione a cura di Luigi Mastellone.
Il nuovo “L’ultima casa accogliente” è fuori dal 13 Novembre. Dopo 20 anni di carriera e 10 album alle spalle, presentare gli Zen Circus potrebbe sembrare un esercizio superfluo.
Eppure fino a due anni fa i tre ragazzi del Circo navigavano nel girone della musica indipendente, quella che porta ai concerti migliaia di persone ma che non riempie gli stadi o i palazzetti (e – diciamolo- le bocche dei critici o presunti tali).
Poi è arrivata la partecipazione alla vetrina per eccellenza della musica italiana, quel Festival di Sanremo odiato da tutti ma di cui tutti parlano e scrivono. Una partecipazione che non è passata inosservata, il brano “L’amore è una dittatura” si è rivelato da subito apprezzatissimo dalla critica e dal pubblico.
https://www.noisesymphony.com/2019/02/08/zen-circus-intervista-sanremo/
Per chi però conosce gli Zen da molto più tempo, il brano sanremese non è stato di certo una sorpresa: lì dentro c’è tutto quello che Appino e soci cantano a squarciagola da 20 anni su e giù per la Penisola, quel cantautorato folk arrabbiato e diretto che li rende unici nel panorama musicale italiano.
A distanza di due anni dall’ultimo lavoro in studio “Il fuoco in una stanza” esce ora “L’ultima casa accogliente”, disco di 9 tracce anticipato qualche settimana fa dal singolo “Appesi alla luna”.
Del singolo, e del suo viaggio a Lisbona, parla così Appino:
«Viaggio spesso da solo, mi è sempre piaciuto, ma in quel caso era diverso. Forse quella musica malinconica si era infilata sottopelle, forse i saliscendi infiniti e la famigerata saudade avevano silenziosamente fatto breccia dentro me. Chi lo sa. Per tutta la settimana, non sono riuscito a scrollarmi di dosso una sensazione di malinconia e solitudine. Di giorno, mi sentivo perso in un mare di gente. Di notte, scrutato costantemente dalla luna piena. Una sera verso il tramonto, ho visto il mio riflesso nella finestra dell’appartamento, sentendomi ingombrante. Come se mi fossi stancato di essere me, quantomeno quella versione di me. Così, ho scattato una foto per non dimenticare quella sensazione, ho preso carta e penna e ho scritto una canzone, di getto. Appena tornato, non vedevo l’ora di lavorarci con Ufo e Karim, perché avevo bisogno di condividere tutta quella malinconia con gli amici di una vita.»
I corpi e l’umanità sono i due temi che riempiono tutto il disco, presenti già nel primo singolo. Corpi di uomini in mezzo a milioni di corpi e di destini, corpi ammalati e corpi violati, corpi cattivi e corpi innamorati, corpi femminili e corpi che diventano la nostra prigione.
E a proposito di prigione, è curioso come lo stesso Appino ci dica che tutti i testi sono nati prima dell’inizio della pandemia (uno escluso, “Come se provassi amore” del quale la band rilascia anche il videoclip), perchè a rileggerli ora i significati si moltiplicano, il corpo è immerso dentro la prigione che è diventata la nostra vita negli ultimi mesi, ma rimane l’unica, e ultima, nostra casa accogliente.
Il disco è molto suonato, e molto ben suonato. Questi lunghi mesi hanno permesso al gruppo di lavorare più del solito sugli arrangiamenti, e il risultato finale ha lasciato decisamente orgogliosi gli Zen.
Con “L’ultima casa accogliente” si chiude un cerchio. Gli Zen Circus prendono la piena consapevolezza di quello che hanno fatto e che ancora faranno. Se prima cantavano “Se amore non so darlo, non ne so parlare, dentro una chitarra l’ho provato a immaginare”, oggi -fortuna- una finestra di Lisbona ha ricordato loro che il tentativo è più che ben riuscito.
A cura di Luigi Mastellone.