Dopo un periodo di importanti dischi e collaborazioni, Rancore è tornato con un nuovo e imponente lavoro, “Musica per bambini”, anticipato dal singolo “Underman” per Hermetic / distr. Artist First. Noi lo abbiamo intervistato il giorno stesso dell’uscita del suo nuovo disco in occasione del primo instore a Roma.
Rancore inizia il tour di presentazione del suo nuovo disco Venerdì 1 Giugno da Roma. Sono le ore 18, quando sul palco allestito alla Feltrinelli di Via Appia, davanti ad un pubblico che lo aspettava da molto prima, pacatamente seduto, appare Tarek Iurcich. Rancore riceve il benvenuto dai suoi fans e si prepara a rispondere ad alcune domande precedentemente scelte tra le molte ricevute.
Dopo l’incontro e il lungo firmacopie ci abbiamo parlato anche noi e ci ha spiegato, nell’intervista che vi proponiamo di seguito, l’evoluzione del suo Hermetic Hip Hop.
Come nasce rancore e perché hai scelto questo nome a rappresentarti?
Rancore nasce nel 2004, circa un anno prima della produzione del mio primo disco “Seguime” che ho fatto a 15 anni. Il nome l’ho scelto proprio all’inizio do questo percorso. Il rancore assomiglia moltissimo al rap, una rabbia inespressa che si esprime tutta insieme nel momento in cui uno canta e cerca di raccontare questo mondo in cui magari si sente chiuso. Oltretutto il rancore stesso è ermetico, in quanto sentimento chiuso: non è l’odio e non è neanche il contrario dell’amore. E in quanto chiuso è simile al mio modo di fare le rime e di esprimere i concetti. È un’energia non consumata, già visibile, ma potenziale. È quello che potenzialmente il tuo spirito potrebbe fare e che fa solo quando prendi il microfono e ti esprimi. Questa secondo me è una cosa che si associa con il linguaggio che ha il rap. Poi è un po’ come Batman: lui si traveste da pipistrello perché ha paura di loro ed è convinto che anche il nemico abbia paura dei pipistrelli. E’ lo stesso motivo per cui mi travesto da Rancore, forse per sperimentare un lato più oscuro, per trovare l’opposto del rancore che è il perdono. Non verso gli altri ma soprattutto verso me stesso.
Perché definisci il tuo genere come “Hermetic Hip Hop”?
È il nome che ho dato alla mia doppia H che diventata tripla H. Ho scelto questo nome cercando di autodefinirmi per avere un terreno nel quale muovermi e con il quale poter dare una parola. E quando dai una parola arrivi a conoscerti meglio.
E non pensi che questa modalità ermetica precluda a volte l’ascolto?
Non è una ricerca che io faccio volontariamente, è la mia natura. Dunque per quanto io possa avere dei dubbi o pormi problemi non posso fare altrimenti. Per questo motivo il disco finisce accusando l’ascoltatore di essere incomprensibile, ma in realtà sono io a non capire niente.
Ti ritrovi a non capire anche il mondo esterno nella vita “normale”?
A volte si, perché è un mondo complesso, che ti bombarda. È un mondo, a volte, così banale che io non riesco a capire e mi sembra quasi come se parlassi un’altra lingua. In Musica per bambini cerco di spiegare questo senso di alienazione nel momento in cui tu esprimi il tuo spirito ma parli un’altra lingua rispetto al resto del mondo.
La lingua dei bambini?
Si chiama musica per bambini perché mi esprimo come voglio io, urlando come voglio e senza farmi problemi se i miei genitori non mi capiscono o mi capiscono. Faccio il tentativo di uscire fuori da quella culla in cui i genitori ti hanno messo pensando di farti stare comodo ma che poi è diventata una prigione.
In Underman scrivi “questo mondo è un inferno con i controcazzi”. È davvero così?
In Underman c’è uno sfogo molto forte in apertura del disco che alla fine porta anche le soluzioni ai problemi che io apro. In quella frase voglio dire di non guardare a quanto urlo in quel momento o a quanto sto cercando di bombardarvi il cervello perché anche io ho ricevuto questo trattamento. Si può riceverlo e stare zitti a testa bassa, come ho fatto io tante volte. Ma questo non è uno di quei momenti. Questo è il momento in cui io bombardo a mia volta. Non mi accusate perché le bombe non le sto lanciando io, le bombe sono tutte intorno a me.
In Musica per bambini sei tu ad occuparti di musica e parole. Come ti sei trovato a fare entrambe le cose?
È stato un lavoro difficile e sovraumano e infatti alla fine di Musica per bambini sono io ad essere cresciuto. Un lavoro che mi ha fatto conoscere molte persone e con le quali si sono create anche delle amicizie. nasce dall’esigenza di fare un disco dove le parole e la musica fossero completamente frutto di una scelta mia, di un mondo che avevo in testa e volevo raccontare non solo attraverso le parole ma anche attraverso le sonorità. Sono molto contento di essere riuscito ad arrivare alla fine di questo progetto perché unire tante persone, fare tutto da soli, autoprodursi, riuscire a portare dei messaggi non semplici e arrivare fino in fondo richiede anche una dose di coraggio che ho dovuto tirar fuori.
Ti ritrovi quindi ora in una dimensione più matura?
Si, sicuramente più maturo, disilluso e purtroppo anche più cinico però anche più ironico. Da altri punti di vista ho capito che è un po’ quello il linguaggio della realtà che mi circonda. Per risponderle non posso essere sempre serio ma devo rispondere con un pizzico di ironia così da, come diceva San Francesco, diventare anche io un giullare di Dio.
Sei cristiano?
No. Però nella mia vita ho conosciuto molte religioni da vicino. Non mi interessa pensare ad una religione, anche perché avendo dei genitori proveniente da due luoghi diversi, loro stessi non mi hanno dato una direzione religiosa chiara. “Vado in chiesa tutti i giorni all’una e mezza”come dico in Depressissimo, ma non sono battezzato, infatti ci vado all’una e mezza perché non c’è nessuno. Siamo da soli io e…l’ambiente. Però quello che posso dire è che Qualcosa c’è. Ho spesso messo Dio nelle canzoni analizzando quello che può essere una versione diversa di Dio o di altre figure di altre religioni per il semplice fatto che non mi convince tanto la propaganda che stanno facendo nel mondo in generale contro Dio. Mi ha sempre dato fastidio quando una cosa viene boicottata senza una profondità o senza qualcosa da sostituire. È come se volessero toglierci Dio, e non importa se io ci credo o no, sono qui a dire che ci credo di più da quando ho visto che c’è molto impegno ad andargli contro. E allora mi chiedo “come mai tutto questo impegno?”. Se fino ad oggi è stato un terreno, va anche bene cambiare terreno, ma cosa ci metti sotto al suo posto, visto che c’è molto poco da mettere al suo posto?
Come porterai dal vivo Musica per bambini?
Prima di tutto portando sul palco i miei giocattoli. Nel tour precedente portavo sul palco i miei demoni, che oggi sono diventati leggermente più carini, sono diventati dei giocattoli. Non si sa se sono io a giocare con loro o loro a giocare con me. Sono dei pupazzi vestiti di diversi colori e vestiti come me, come se anch’io fossi un giocattolo per un certo tipo di mondo. Porterò sempre un live contaminato da teatro, costumi, discorsi, favole, come ho sempre fatto dal vivo. Sul palco con me ci sarà un dj, un basso e un pianoforte e tutto quello che potete ascoltare in Musica per bambini riadattato al palco.
La cosa che ti ha più influenzato nel fare musica qual è?
Mi influenza sicuramente l’ascoltare e l’osservare quello che ho intorno in quanto il mondo è pieno di cose da metabolizzare, da digerire e anche cercare di esprimere e re-inventare con la musica. Quindi l’ispirazione viene da tutto, dalle emozioni, dalle sensazioni chiare o scure che uno ha, al suo vissuto, i viaggi, le avventure, le delusioni e le aspettative. Anche le persone che mi hanno circondato durante la mia vita. È un mondo così grande quello che ogni persona ha dentro che potrebbero esserci parole all’infinito per descriverlo.
Ho letto di te che hai detto “ho usato la musica come psicoterapia”. Tendi ad autoanalizzarti?
Nel momento in cui porti a termine una canzone ti sei scoperto in una parte di te che non conoscevi. Quando faccio musica è come se ti dessi una parte di me, come se mi togliessi il vestito e restassi nudo. In questo caso ho fatto proprio uno striptease davanti a tutti e quindi mi sono ritrovato, conosciuto e riscoperto, sia nelle sensazioni che avevo durante lo striptease, sia guardandomi poi nudo nel momento in cui avevo finito.
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