Classe 1983, Roberta Arena, in arte Diana è una musicista di lungo corso, passata dalla classica alla musica moderna e contemporanea dopo una serie di esperienze in varie cover band e un trasferimento da Pietrasanta (Lucca) a Palermo. In occasione del suo esordio da solista per Manita Dischi, abbiamo avuto modo di parlare in una piccola intervista via mail, in cui ci ha raccontato la sua evoluzione musicale e personale attraverso la scrittura delle tracce di “And You Can’t Build the Night”, album prodotto, registrato e mixato da Francesco Vitaliti, Donato Di Trapani e Fabio Rizzo presso Indigo, con mastering di Andrea De Bernardi.
Innanzitutto, ciao Roberta (Diana) e piacere di conoscerti. Quando e come è iniziato questo tuo progetto musicale?
Piacere mio. La volontà di avviare il mio progetto solista nasce dall’esigenza di far conoscere ciò che ero senza contaminazioni, lavorando con i miei tempi e con le mie forze. Ho voluto riscoprirmi, era arrivato il momento di tirare fuori ciò che avevo dentro senza troppi filtri e senza pretese. È iniziato tutto con la composizione di un brano, “And You Can’t Build the Night” che infatti ha dato il nome all’album.
È venuto giù tutto insieme, ero sola a casa con la mia chitarra, fuori pioveva ed il microfono era lì che mi tentava… in meno di un’ora ho registrato il pezzo con il mio pc e tanto effetto shimmer nella chitarra! Per me quella notte è stata fondamentale per capire che ero pronta ad affrontare questo passo.
Le tracce di “And You Can’t Build the Night” sono piccoli racconti autobiografici?
Spesso sì. Devo dire che parto quasi sempre da storie di vita vissuta per poi “ricamarci sopra”. Scrivo quasi sempre per bisogno, e il bisogno porta ad estremizzare quel sentimento che sto vivendo. Il risultato sono dei testi dolorosi, malinconici o molto “leggeri” quasi a voler smitizzare l’accaduto.
Ti occupi tu anche della parte musicale?
Assolutamente sì, la ritengo fondamentale. Credo infatti di riuscire a comunicare più con la musica che con le parole.
Come scrivi solitamente una canzone?
Bella domanda. difficilmente mi è capitato di “impormi” la scrittura di un brano. Di solito mi capitano due cose: la prima è quella più ricorrente. Mentre vivo normalmente la mia vita quotidiana mi viene in mente e immagino la canzone, come se già fosse scritta e suonata (non prendetemi per pazza, ma vi giuro che è così ahahah) quindi assecondo quel momento di ispirazione, mi butto al pc e tento di ricostruire quello che ho immaginato; la seconda possibilità è che mi metto al pc o prendo la chitarra e inizio a suonare, appena sento qualche suono di synth che mi piace inizio a scrivere sopra tutto il resto.
Come mai scrivi un po’ in italiano e un po’ in inglese, e quale delle due lingue ti facilita di più nella stesura del testo?
Ho sempre pensato che prima di tutto nella musica bisogna essere sinceri con se stessi e spero che questo album dimostri la mia “onestà” musicale. Questa onestà quindi viene tradotta così, faccio e scrivo ciò che sento in quel momento. So che questa scelta può sembrare strana ed è comunque rischiosa, ma non me la sentivo di tradurre ad esempio “Nostalgia di Saturno”, un pezzo nato e scritto in italiano. In inglese sarebbe stata una forzatura. Credo che sicuramente sia più difficile scrivere in italiano perché pensi che tutto quello che scrivi sia stupido mentre con l’inglese si ha sempre l’illusione che “suoni tutto bene”.
La seconda traccia si intitola “Ottanta” e parla di un amore puro e libero dagli schemi. Come mai questo titolo?
Ottanta si chiama così perché parla di un amore adolescenziale, per cui essendo nata negli anni ottanta mi piaceva l’idea di ricordare in qualche maniera il mio passato, quegli amori vissuti con leggerezza e che ti facevano stare bene con il minimo indispensabile. Inoltre credo di aver richiamato un po’ i suoni di synth di quel periodo quindi ho voluto dare questo nome.
“He Was Angry” sembra invece trattare della violenza fisica in un rapporto. A cosa o a chi ti sei ispirata per scriverla?
Questa canzone è stata scritta ricordando un momento delicato della mia vita. Sono sempre stata una persona emotivamente fragile ma sicuramente l’inesperienza e l’età ti portano a non saper reagire in maniera lucida alle cose. Questo trascorso risale veramente a tanti anni fa, ma il pezzo è stato composto da soli due anni, quando forse ho voluto finalmente tirare fuori questa cosa, quasi a volerla “espellere” dal mio corpo e guardarla in faccia, come per dire ti ho superato e ti voglio racchiudere qui in questo brano perché tanto so che non ti cancellerò mai.
Parlando di “Festival”, hai scritto che: “siamo soli con noi stessi e solo noi abbiamo le risposte giuste alle domande che ci poniamo la sera prima di dormire”. Qual è una domanda che ti poni spesso andando a dormire?
Di notte si sa, si tirano le somme della giornata. Ma spesso anche di una vita, almeno a me capita… la notte è la parte della giornata che preferisco, perché si è più liberi e si dice sempre la verità, magari dopo un bicchiere di vino. La domanda più ricorrente è la più difficile del mondo: sono felice? Sto facendo la cosa giusta? E la risposta è quasi sempre la stessa: ci sto lavorando.
I tuoi album preferiti di quest’ultimo periodo?
Per ora ascolto molto i Beach House, ma vorrei avere il tempo di scoprire ed ascoltare tanta musica.
C’è un brano o un artista in particolare che ti abbia fatto definitivamente e irreparabilmente innamorare della musica, quando eri piccola?
Anche questa è una domanda difficile, perché o si risponde di botto oppure ti vengono in mente duemila cose e poi te ne penti! Non posso non citare i Pixies, l’album “Doolittle” l’avrò ascoltato centinaia di volte, PJ Harvey anche lei è stata di grande ispirazione, ma anche Janis Joplin (il nome della mia prima chitarra è stata proprio Janis). Come artisti italiani Carmen Consoli è stata sicuramente la più ascoltata in assoluto oltre ai grandi classici. In realtà da piccola avevo più tempo, ascoltavo tantissima musica e mi piaceva quasi tutta.
Qui l’ascolto del disco:
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