“Al blu mi muovo” è il nuovo disco di Fabio Cinti. L’artista vede, tra le sue collaborazioni precedenti, nomi come Battiato e Morgan. In questa intervista siamo andati a toccare molti argomenti: dall’ispirazione musicale, alla vittoria della Targa Tenco, fino al suo personale pensiero verso un personaggio come Trump.
“Al blu mi muovo” è il nuovo disco di Fabio Cinti fuori dal 24 aprile. La sua particolarità di scrittura, un po’ estemporanea, non nasconde una profonda stima per Battiato, artista e uomo, che non ha tradito le sue aspettative umane.
Anticipato dal singolo “Giorni tutti uguali” e dal lyric video “Tra gli alberi combatto”, il nuovo lavoro del cantautore che ha ricevuto la Targa Tenco 2018 per il precedente album, è pubblicato da Private Stanze.
“Al blu mi muovo” è il frutto di una profonda riflessione sulle insicurezze, sulla caducità delle convinzioni e delle euforie, sul rapporto complicato e incostante tra artista e atto creativo, ma anche sulla forza della grazia e della memoria, doti spirituali vitali e durature.
Ciao Fabio, è uscito il 24 aprile il tuo nuovo disco “Al blu mi muovo” ovvero “Come evitare di diventare giovani”. Raccontaci il significato di questo titolo.
Il titolo si riferisce a quella cosa che sempre mi permette – e dunque mi muove – di produrre qualcosa. Ovvero la malinconia, che è la condizione necessaria all’arte, e che non ha niente a che vedere con qualcosa di negativo o deprimente: è una forza blu, appunto, con la quale si filtra il mondo. Il sottotitolo si riferisce invece alla coscienza del tempo in sé e del tempo relativo alla nostra esistenza, a come lo vediamo in realtà in maniera grossolana. Qualcuno – molti in realtà – vorrebbero cristallizzarsi nella giovinezza. Ma questo è un brutale inganno sociale: la vita è tutto il percorso, ogni giorno con un peso diverso. Un cinquantenne che fa il ragazzino è ridicolo.
Che rapporto hai con il tempo che passa e con la tua età?
Proprio in virtù di quanto sopra, sono assolutamente sereno! Consiglio la lettura di un breve saggio di Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo” – nel quale vengono messe in discussione tutte le nostre certezze sullo scorrere del tempo.
“La felicità è uno stato d’animo, non una condizione permanente.”
Dici di essere un grande fan della Grazia e della Memoria. In questo frullatore quotidiano credo che fare memoria dei momenti che viviamo sia fondamentale. Come possiamo tornare a trovare il nostro spazio di riflessione?
Bisogna far lavorare l’intelligenza a favore del cuore. La felicità è uno stato d’animo, non una condizione permanente. Quindi ogni cosa che programmiamo, dal lavoro ai viaggi, dalla cena a qualsiasi attività quotidiana, deve essere pensata in modo che ci sia un equilibrio per cui si possano creare le condizioni giuste per quello stato d’animo. È facile? Assolutamente no. Ma è possibile.
Sei credente?
Credo nel dio di Spinoza, nel Deus sive Natura.
Cosa pensi della realtà che ci circonda anche alla luce di quello che stiamo vivendo a causa del Coronavirus?
Credo che gli uomini si sopravvalutino molto. Se invece imparassimo a sottovalutarci, a celebrarci di meno, a cogliere in maniera decisiva tutte le bassezze di cui la maggioranza della massa è capace, ci stupiremmo di meno delle catastrofi che creiamo e se ne troverebbe più facilmente una soluzione. C’è un numero cospicuo di persone al mondo che si fida di una persona imbarazzante e squalificante come Trump, un esempio del fallimento dell’umanità, un caso pesantemente negativo, un tipo di essere umano che per me è uno scarto. Eppure…
Credi che la natura si stia riprendendo il suo spazio?
La natura non ha bisogno di riprendersi il suo spazio, tutto è natura, anche l’inquinamento lo è. L’universo non distingue un bambino da una barretta di plutonio. Ma la barretta di plutonio nuoce al bambino. E le energie dei due corpi sono diverse.
Come stai occupando il tempo in questo periodo?
Sono un lettore instancabile. Ascolto un’ora di musica al giorno, non di più (spesso di meno), sarebbe uno spreco e lo farei distrattamente. Non riesco neanche a lavare i piatti con la musica in sottofondo, mi innervosiscono i rumori, proprio perché la musica ha un valore importante, anche quella più scema (si fa per dire). Poi scrivo, suono, e curo il giardino. Ho intenzione di costruire una serra.
Il nuovo album è stato interamente scritto, arrangiato e prodotto da te. Come ti sei trovato a lavorare sul disco in ogni sua sfaccettatura?
Avevo il bisogno di fare i conti con me stesso e di mettermi alla prova e mi sono accorto di essere molto capace di diventare una macchina, di dividermi e fare il “lavoro sporco” in maniera sufficientemente funzionale. Raffaele Stefani, però, il fonico che ha mixato l’album, ha reso tutto possibile. Senza di lui sarebbe stato tutto un fallimento, perché poi c’è bisogno di un lavoro specifico che fa stare in piedi il progetto. E per fare stare in piedi questo progetto, oltre alle competenze tecniche, serviva una sensibilità specifica. Come quando si ha a che fare con uno che ha problemi: certe cose non puoi pretenderle. Lui ha capito questo, ed sempre difficile ringraziarlo in modo completo.
Da cosa prendi ispirazione nella scrittura?
Le cose che leggo e che ascolto le rielaboro e le mescolo durante l’osservazione quotidiana della natura, delle cose. Non ho molti contatti con le persone, o meglio, ho contatti con pochissime persone. Anche una telefonata, a volte, mi riempie di idee e di spunti.
“Sono cresciuto con Battiato nelle orecchie”
Nelle tue canzoni si sente forte l’influenza di Battiato, con il quale hai anche collaborato, sia nelle sonorità che nei testi e nella ricerca delle parole. Com’è stato lavorare con lui e quanto ha plasmato il tuo modo di scrivere?
Battiato non ha deluso le mie aspettative umane, come spessissimo accade con chi si stima artisticamente. È una persona con una levatura morale e umana addirittura più alta rispetto a molto di ciò di cui canta…quindi figurarsi!
Sono cresciuto con lui nelle orecchie: è come imparare a scrivere con un libro di grammatica. La sua musica è la mia grammatica di base e, siccome è una grammatica particolare, è molto riconoscibile rispetto – per esempio – a chi è cresciuto con De Gregori, che a sua volta è cresciuto con Dylan, eccetera. Oggi ci sono decine di cantautori che hanno il modo di De Gregori, ma sono tanti, e non ci si fa molto caso)
Nel 2018 hai vinto la Targa Tenco come Interprete per “La voce del padrone – un adattamento gentile”, riadattamento del capolavoro del 1981 di Battiato, appunto. Perché la scelta di riarrangiare proprio questo disco?
Più che di arrangiamento, parlerei di “sostituzione”, di adattamento, appunto: ho, cioè, sostituito i timbri, gli strumenti. Quella melodia suonata da un sintetizzatore l’ho assegnata a una viola, e così via. È stata un’operazione da una parte molto tecnica, dall’altra profondamente emotiva, perché per fare quella tecnica e ridare la stessa resa emotiva bisognava che possedessi intimamente quelle canzoni. Ci sono riuscito? Molti hanno apprezzato. L’originale è sempre lì, in ogni caso!
Tra le collaborazioni anche Paolo Benvegnù, Nada, Massimo Martellotta dei Calibro 35, The Niro, Alessandro Grazian. L’aneddoto che ti rimane più impresso di una di queste collaborazioni?
Con gli aneddoti potrei scriverci un libro. Ma più che un aneddoto potrei dire questo: tutti gli artisti con cui ho collaborato, tirati fuori dal loro contesto, hanno mostrato qualcosa che mi piacerebbe vedere di più anche nella vita pubblica. Spesso siamo vittime di pose, quando invece molta della forza si nasconde proprio nella verità. Anche quando non è per nulla accomodante.
Tra le tue amicizie anche Morgan di cui sei stato producer ad X-Factor. Divaghiamo un attimo. Non posso non farti la domanda su quanto accaduto all’ultimo Festival di Sanremo con Bugo. Un argomento che ha intasato le pagine dei giornali e i programmi tv. Cosa pensi di questa storia?
Ho seguito la vicenda anche attraverso degli scambi diretti con Morgan, e ho cercato di starmene fuori il più possibile. Oggi penso questo: Morgan ha torto e ragione al tempo stesso.
Torto perché la scenetta in diretta mi è parsa francamente evitabile. Ma ragione su tutto il resto, anche sulla gestione da parte del management del suo personaggio. Si tenta di dare un’immagine da buoni, ma la questione è sempre legata ai guadagni.
Non ho poi capito come Morgan possa aver pensato che Bugo potesse essere capace di interpretare Endrigo. Achille Lauro che stonava pesantemente sul pezzo di Tenco ha avuto più cuore.
“X – Factor è un prodotto per la televisione
e i concorrenti lo sono a loro volta.”
Com’è stata l’esperienza nel talent show da producer?
X-Factor è un prodotto per la televisione. E i concorrenti lo sono a loro volta. Bisogna capire bene questo per non farsi annichilire da quell’ambiente. Ho visto gente scoppiare dopo un paio di edizioni e andarsene a gambe levate. È un tritacarne. Con Marco mi sono divertito, spesso moltissimo. Questo perché in tutto quello che abbiamo fatto ci abbiamo messo la verità delle nostre vite; eravamo molto coscienti di quello che stavamo vivendo.
La tua musica richiede riflessione ed è un po’ estemporanea. Come ti trovi nel mondo dei social che oggi va molto veloce?
La velocità giova solo chi ha una capacità di immagazzinare e elaborare i contenuti altrettanto velocemente. Altrimenti si perde tutto. È come andare su un treno velocissimo: riesci a vedere bene solo le cose molto lontane, anche se ne vedi molte. Se invece vai piano, vedi tutto, ma meno cose. Dipende cosa si vuole fare e che tipo di capacità si ha nell’elaborazione. Negli ultimissimi tempi i social sono diventati un contenitore perlopiù di cazzate.
“Bisogna essere pieni di buoni sentimenti falsi e dozzinali
per arrivare al cuore degli aridi”
Pensi che un progetto come il tuo, con contenuti così profondi, riesca a trovare il giusto spazio?
“Andrà tutto bene”, il pezzo di Elisa/Paradiso piace a quanto pare: io lo trovo di una bruttezza imbarazzante, oltre che un’operazione che poggia sul dolore e sull’emergenza (poi c’è sempre la scusa della raccolta fondi per fare donazioni: sono cazzate, gli artisti vogliono la gloria…), ma alla gente piace. Comanda la gente e comandano gli ascolti.
Io ho gli spazi e gli ascolti che mi merito, rispetto a quello che faccio e a come lo faccio.
Bisogna essere pieni di buoni sentimenti falsi e dozzinali per arrivare al cuore degli aridi.
Hai raccontato che la persona che ti ha maggiormente supportato ti ha detto questa frase: “Ognuno combatte la propria guerra come può, con le armi che ha e rispetto al proprio coraggio, e il coraggio massimo è quello dell’eremita, che da solo sorregge le sorti del mondo.” Qual’è la tua battaglia personale?
Posso vincere ben poco, perché mi espongo poco e non sono un uomo capace di realizzare certe grandezze. Dunque, nel mio piccolo mondo, negli intrecci complicatissimi dell’esistenza, cerco di godere del mistero delle cose. Di essere il più possibile lucido e sincero.
Da qui hai scritto “Tra gli alberi combatto” che apre il disco. È stata quella frase che ha dato il La a tutto l’album?
In qualche modo sì. Più che altro che mi ha permesso di trovare un senso e selezionare tra le cose che avevo scritto quelle che ritenevo più giuste.
Grazie!
Grazie a te!