La nostra intervista a Misga, cantautore pugliese uscito il 28 novembre scorso con il suo album “Sos Try till Satisfaction.”
Misga, nome d’arte di Michele Sgaramella, è un artista pugliese. Cantautore indie pop, con influenze che
spaziano dall’elettronica al folk, utilizza un linguaggio diretto e impreziosito da giochi di parole resi al meglio da una buona dose di inventiva incastonata nella realtà quotidiana ricca di incertezze.
L’attività artistica di Michele ha avuto inizio circa 10 anni fa e nel 2014 ha dato vita a Misga, un progetto cantautorale a tutto tondo. Nel 2015 apre i concerti di Après la classe, Caparezza ed Erica Mou, Tommaso
Paradiso, vince diversi premi e, grazie al sostegno di Pugliasounds, porta la sua musica anche all’estero, a Parigi e Bruxelles, Berlino, Dijon, Valencia e Liegi.
Nel Novembre 2016 esce il primo disco intitolato Micamicapisci e dal Monk di Roma parte il primo tour promozionale. Nel 2018 Misga torna protagonista come accompagnatore musicale nel tour teatrale
“Tutto fa Broadway” del duo comico pugliese Pio e Amedeo. Nello stesso anno arriva in finale al Premio Fabrizio De Andrè con il brano “Scontrare la morale”.
Lo scorso Ottobre Misga pubblica “Vedere”, il brano che ha anticipato il suo secondo lavoro discografico dal titolo Sos Try Till Satisfaction fuori il 28 Novembre.
Ciao. “SOS Try Till Satisfaction” è il titolo dato alla tua seconda raccolta di inediti. Come nasce questo disco?
Ciao, “SOS Try till satisfaction” nasce dalla voglia di raccontare attraverso queste canzoncine le mie gioie, paure, perplessità. Sono canzoni su cui ho lavorato in questi ultimi quattro anni. Il periodo dai 25 ai 30 anni è un periodo molto particolare per ogni giovane della mia età. Ho voluto catturare questo momento della mia vita in un disco, mi auguro che ogni giovane (e anche meno giovane) si rispecchi e tragga il vero messaggio di speranza che ho provato a trasmettere.
SOS è la sequenza di tre lettere che descrive il segnale universale di richiesta di soccorso. Di cosa in particolare pensi ci sia più bisogno in questo momento storico?
Credo che in questo momento storico il bisogno più grande che abbiamo è quello di guardarci un po’ più negli occhi come esseri umani.
Il disco è una sorta di concept album che naviga tra le paure e le speranze delle nuove generazioni. Pensi che la musica, come negli anni 60 o 70, possa mandare anche oggi un messaggio per smuovere le coscienze?
Ho pubblicato il disco e l’ho voluto consegnare di persona a tutti quelli che avevano scommesso in anteprima su questo lavoro con la campagna di crowdfunding avviata e realizzata ormai due anni fa. Il disco in formato cd non ha più un gran valore, molti lo lasciano impacchettato come reliquia (tanto è su Spotify) ma al piacere di incontrare di persona tutta questa gente non c’è strategia che tenga. Certo, tornare indietro agli anni 60 o 70 è troppo. Qui ogni giorno cambiano le strategie e bisogna sempre stare al passo. Questo però non può toglierci la passionalità di un abbraccio, di una pacca sulla spalla, rischiamo seriamente di diventare dei robot. L’ultima frase di questo disco dice “Non c’è modo migliore, per fare la rivoluzione, son sempre le solite parole, ma qui c’è bisogno d’amore”. Ecco, ho usato una citazione di un mio brano per dirla tutta. Abbiamo bisogno di amarci di più.
Tu hai curato personalmente anche il tipo di lavoro che poi è stato fatto da Valentina Lorizzo sulla copertina. Perché la slot machine? Da dove sei partito come idea?
L’idea della slot è venuta a me e a Valentina. Ci siamo illuminati a vicenda. Abbiamo passato tanto tempo in realtà a rifletterci. Centinaia di messaggi vocali su whatsapp per definire l’idea. Inizialmente pensammo a un’idea completamente diversa dalla slot ma il messaggio era già chiaro nella nostra mente. Serviva qualcosa di forte per rimarcare il concetto di speranza e caparbietà. In quei giorni capitai in un bar e leggevo in un articolo de “la Gazzetta del mezzogiorno”, una statistica sul gioco d’azzardo, in particolare le slot detenevano un primato sullo sperpero di denaro nella provincia BAT. Mi venne l’idea e la girai subito con un ennesimo vocale a Valentina che captò subito quello che volevo dire e abbozzò il disegno. Nella slot raffigurata da Valentina non c’è modo di inserire denaro. C’è solo un omino che spinge con forza la leva e le icone che girano, come in una vera slot machine. Ogni icona (disegnata sempre da Valentina) rappresenta una canzone delle dieci del disco.il senso del disegno è un invito a giocare con la vita, ad essere spensierati, a osare, rischiare, provarci ma senza farsi male e compromettere la propria stabilità.
Da dove prendi ispirazione per scrivere i tuoi tesi?
Per ogni testo c’è una storia diversa. Mi capita di trovare l’idea poco prima di addormentarmi e se il sonno è forte rischio di perderla. Spesso, soprattutto per questo disco, ho trovato ispirazione sul luogo di lavoro. Aiuto la mia famiglia nella gestione di una pizzeria e in quest’ultimo periodo mi è capitato spesso di trovare l’idea mentre ero dietro il banco a servire le persone. Mi è capitato anche di lasciare tutto, andare in bagno e scrivere. In generale nella scrittura mi faccio influenzare da ciò che mi circonda, dal territorio in cui vivo. Sono molto autocritico nella scrittura dei testi, scrivo spesso cazzate e me ne rendo conto. Ma non butto via nulla.
Quali sono le tue influenze musicali?
Amo i cantautori italiani, soprattutto i bolognesi (Dalla, Carboni, Cremonini). Mi piacciono perché sono follemente innamorati della loro terra e spesso la citano nelle loro liriche. Mi piace anche la canzone tradizionale romana e napoletana, il folk alla Vinicio e tutto ciò che valorizza il senso di appartenenza. In qualunque salsa (indie, trap, rap, pop, rock). Amo le canzoni e i cantanti che hanno qualcosa di vero da esprimere. Quelli che raccontano e si raccontano.
Sei stato accompagnatore musicale nel Tour di Pio e Amedeo “Tutto fa Broadway”. Ci racconti l’esperienza?
Una delle esperienze più belle del mio percorso artistico. Nello spettacolo ci trattavano male ma la produzione ci ha trattato da veri artisti e, in questo momento non capita tutti i giorni. Pio e Amedeo sono proprio così. Mi hanno scroccato anche il deodorante e il dentifricio in camerino. Sono ragazzi che hanno fatto tanta gavetta e il successo che stanno avendo lo meritano tutto. Mi sono divertito tantissimo. In quelle dieci date nei teatri sold out d’Italia chiudevamo lo spettacolo con “Na paraul e pecc” un vecchio mio brano in dialetto pugliese. Ci tengo a ringraziare Teresa Mariano che mi ha dato questa opportunità.
Hai aperto i concerti ad artisti come Tommaso Paradiso, Apres la Classe e Caparezza. Cosa hanno portato in più queste esperienze al tuo percorso artistico e come è stato suonare davanti ad un pubblico che non è propriamente il tuo?
Suonare davanti a un pubblico quando si è emergenti non è mai semplice. Si corre un grande rischio. Delle esperienze sopra citate porto un gran ricordo. Se devo scegliere tra le tre, la più entusiasmante è stata l’apertura a Caparezza. C’erano 8 mila persone sotto il palco ed erano tutte prese bene. Alla fine della mia esibizione iniziarono a gridare: Michele, Michele…anche se non credo fosse riferito a me! In ogni caso porto un bel ricordo di tutto il mio percorso. Rifarei volentieri tutto!
Hai suonato anche molto all’estero tra Berlino, Parigi, Valencia. Hai trovato delle differenze nel portare in giro la tua musica in Italia e all’estero?
Mi è capitato di portare la mia musica all’estero grazie al sostegno di Pugliasounds Export. Nel mio piccolo da questa esperienza posso dire che è più semplice e rigenerante suonare musica inedita all’estero. Ho notato più propensione all’ascolto della musica nuova ed emergente. Dovrei farmi un giro in Italia per ricredermi.