I Two birds one stoned, duo garage/blues di Treviso, presentano il loro nuovo ep “Cross”, una sorta di messa in musica delle proprie emozioni e un’esorcizzazione dei disagi.
Nell’album dei Two birds one stoned, coesistono sia il rock che blues, la musica degli schiavi delle piantagioni di cotone, che rendono il lavoro eterogeneo, condito con le atmosfere sfacciate del rock ‘n’ roll e del garage-rock. Ognuno di noi ha le proprie frustrazioni. E se non vengono adeguatamente espresse ti fanno stare male. Si deve fare i conti con le scocciature di ogni giorno o con problemi più complessi e gravi. In alcuni casi sono risolvibili, in altri no.
Il disco dei Two Birds One Stoned viene aperto da “Hard times”, canto di rabbia che parla di tempi duri, di fallimenti e di delusioni lasciati alle spalle. L’andazzo della canzone è pero allegro e trasforma il brano più uno sfogo che un discorso triste. “Oh, father”: questa canzone si apre con un’invocazione ad un “padre” non ben definito. Potrebbe essere un padre reale, come un padre spirituale, al quale si comunica che si è smarrita la via e che è necessario ritrovare la strada. E’ un concetto metaforico per intendere che ci sono certi momenti nella vita in cui ci si sente persi. Terzo brano è “Cross”, titletrack dell’ EP, che racchiude di più il senso dell’opera. E’ un segno nero sotto la pelle, una croce appunto, che rappresenta ciò che di brutto una persona ha passato e che si lascia alle spalle: “I say goodbye” è infatti un “Anthem” che invita proprio ad abbandonare il passato, reagendo. E’ una canzone speranzosa, quasi risolutiva.
“Bout a woman” parla di una sofferenza d’amore per una ragazza ipotetica. Si è cercato di rendere in musica una situazione melanconica, in cui non c’è modo di stare assieme ad una persona, ma tuttavia non si desiste e si cerca sempre di riconquistarla per incastrarsi una sorta di limbo. “By my own” è la più cruda e diretta. Il riff iniziale è molto aggressivo e anche il testo. Rappresenta il nostro modo di difenderci dalla merda. Nonostante tutto siamo ancora qui e tutto quello che abbiamo ce lo siamo sudato. Tu non sai da dove vengo io. Non sono di certo ricco o speciale, ma sono arrivato fino a qui, con le mie gambe. “Ride the wave” è senza dubbio il brano più enigmatico. Cavalcare l’onda come metafora del voler fare quello che si vuole, raggiungere i propri obiettivi: dopo la tempesta si può sempre ricominciare. Ci si deve perdere nel mondo e scoprire tutto quello che c’è. Fare tutto ciò che deve essere fatto. L’ ep si conclude con “Blur”. Blur vuol dire sfocato, termine con il quale volevamo rendere l’idea della fine del viaggio, quasi a voler fare un resoconto di quanto detto nelle precedenti canzoni. Dopo tutto quello che ci è successo siamo quasi “ubriachi” vediamo tutto annebbiato.
Cassa/charlie/cassa/rullo – due uccelli con i fuzz troppo gonfi per poter volare.dal 2015 Marco e Alberto si fanno strada a spallate in Veneto, saltellano tra la melma blues, quella di Detroit nel 1969, e giù la testa che il garage ha il soffitto basso. Dal primo EP “Self Titled” a “Cross”, l’ultimo colpo di coda del 2017 in uscita per Red Eyes Dischi, la storia è sempre quella: chitarre e batteria, ritornelli e sculacciate. Nel frattempo, tutto il pollaio balla il boogie perché il recinto manda le scosse.
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