E’ uscito il 5 maggio “Faccio un casino“, il nuovo atteso disco di Coez. Si tratta del quarto album dell’artista romano, capace di muoversi nei terreni del pop e del rap con grande disinvoltura. Noi gli abbiamo fatto un colpo di telefono per farci raccontare meglio le idee alla base del progetto e qualche retroscena… Qui di seguito la nostra intervista!
“FACCIO UN CASINO” TOUR
26/5 MILANO MIAMI
09/6 S. EGIDIO ALLA VIBRATA (TE) ONIRICO FEST
30/6 ROMA VILLA ADA
14/7 TORINO FLOWERS FESTIVAL
15/7 BIELLA RELOAD SOUND FESTIVAL
23/7 LECCE TEATRO ROMANO
03/8 FILAGO (BG) FILAGOSTO
04/8 TREVISO SUONI DI MARCA
09/8 BRESCIA ONDA D’URTO
27/8 FABRICA DI ROMA (VT) FDB FESTIVAL
Il disco rivendica una scelta discografica di completa indipendenza. Prodotto dallo stesso Coez insieme a Niccolò Contessa (I Cani) e Sine, contiene dodici tracce schiette, intime, capaci di descrivere sentimenti come l’amore, l’amicizia, in maniera diretta ed emozionante. Tre i featuring presenti nel disco: Gemello (su Taciturnal), Gemitaiz (Occhiali scuri), Lucci (Un sorso d’ipa).
Lo stile di Coez ha conquistato pubblico e critica, unendone i consensi e decretandolo come uno dei più originali esponenti di un moderno cantautorato che sa evocare un immaginario di grande forza.
Ecco la nostra intervista in cui Coez ci parla di “Faccio un casino” e delle cose che lo aspettano!
Ciao Silvano, il tuo disco “Faccio un casino” si apre con un pezzo particolarmente rap. E’ un ritorno alle origini voluto?
E’ una citazione di un mio vecchio mixtape che uscì circa sei anni fa… all’inizio questo disco doveva essere un mixtape, poi però i pezzi erano comunque canzoni in realtà anche se un po’ più rap rispetto agli ultimi. Quindi è stata più una citazione che una voglia di tornare indietro.
Infatti ti etichettano proprio con un genere a metà fra rap e pop… tu come ti definiresti?
Io penso senza falsa presunzione di fare abbastanza bene un po’ entrambe le cose. Per fortuna non mi devo definire io, essere etichettato non è una cosa a cui penso quando scrivo.
Racconti solo storie tue personali o trai ispirazione anche da altri, o da qualcosa che leggi ad esempio?
Nel corso di quattro dischi, due ep e molti altri lavori sicuramente mi è capitato di raccontare qualcosa che non ho vissuto io in prima persona, certo però è più raro.
In questo ultimo album sono tutte storie tue?
Sì! Invece nel disco precedente c’erano un paio di storytelling, c’era un pezzo su Cucchi, c’era un pezzo che si chiama “Dove finiscono le favole” che non è una cosa che ho vissuto. Di base però scrivo di quello che vivo.
Scrivi anche per altre persone?
Sì ho scritto per altri e probabilmente lo rifarò, ma per ora sono molto concentrato sul mio percorso. Ci sono momenti in cui posso farlo e altri in cui ho ancora tanto da scrivere per me… quindi non capita spessissimo.
Per chi ti piacerebbe scrivere?
Jovanotti!
Nascono prima i testi di solito o costruisci tutto su una sonorità che ti viene in mente?
Scrivo quasi sempre sulla musica, ma ovviamente a volte ho già l’idea di qualcosa che voglio dire. In studio o quando giro da solo, soprattutto in treno, mi appunto delle cose e quando sento qualcosa che mi piace a livello di suono vado a rivedere sul telefono quello che mi ero segnato.
Hai lavorato anche sulla tua voce negli ultimi tempi?
Ho preso lezioni di canto tra “Non erano fiori” e “Niente che non va”, più che altro per i live, perché il problema non era tanto quello d’intonazione ma di gestione, per non rovinarmi… una volta ho suonato sei giorni di seguito, se non avessi studiato un po’ non sarei arrivato alla quinta data! (Ride)
E invece per quanto riguarda i suoni che utilizzi, a che ascolti ti rifai?
Io non essendo un musicista mi occupo principalmente dei testi, mentre per la musica mi faccio sempre aiutare. Le influenze dei suoni che mi piacciono vengono un po’ dal rap, un po’ dall’elettronica; nel disco c’è un po’ di tutto, cerco di essere molto aperto, di variare dai suoni più classici a quelli più particolari.
In copertina c’è una foto di te da piccolo…
Sì, sono io da bambino con mia madre che mi tiene perché “voglio fare un casino”, l’ho vista così.
Possiamo vederlo proprio come un concept? Come sei arrivato a quest’idea?
Sì, all’inizio avevo chiesto a mia madre delle vecchie foto con lei per la copertina del singolo “E yo mamma”. E quindi poi col mio clima creativo ci abbiamo pensato un po’ ed è venuto fuori tutto il concept del disco. E’ stato tutto molto naturale, non ho fatto un set fotografico per la copertina come molti pezzi erano già da tempo nel cassetto perché aspettavo il momento giusto per accorpare tutto quello che avevo da parte.
Cosa volevi dire con “Faccio un casino” quindi?
Io in un titolo cerco sempre più sfaccettature… “Amami o faccio un casino” significa che ogni volta che nella vita non mi sono sentito amato ho fatto un casino, prendendo il dolore come una crescita, e anche grazie a quella sofferenza ho fatto un casino in senso positivo perché ho scritto canzoni che mi hanno portato su palchi sempre più grandi. In più per il fatto che sono un personaggio che fa un casino, che non capisce che etichetta prendere, se fa rap se fa pop… però alla fine è un casino anche abbastanza ordinato nello svolgimento del disco!
Come hai iniziato a collaborare con Niccolò Contessa?
Io Contessa l’ho sempre cercato: siamo tutti e due di Roma e quando io iniziavo un po’ a sperimentare, a uscire fuori dal rap c’era già lui che cominciava il progetto de I Cani. Il loro disco che mi piace di più a livello di testi è l’ultimo ma già ai tempi riconoscevo in loro una produzione fresca, cominciava ad interessarmi più quel genere che il rap che forse mi aveva un po’ stufato. Io lo contattai da subito, per esempio “Ali sporche” lo mandai anche a lui perché ero senza produttore in quel periodo ma non ci eravamo trovati. Poi ci siamo tenuti in contatto, io sono sempre stato fan di Niccolò e quindi ho continuato a scrivergli, finché circa un anno fa lo chiamai per chiedergli di partecipare ad un pezzo e da lì abbiamo iniziato a scrivere un bel po’ insieme. Nel disco ci sono tre pezzi scritti che sono nati con lui, due che ha prodotto da solo e uno che ha prodotto con Sine. E’ stata una bella sorpresa, ci siamo trovati molto bene a lavorare insieme.
Sine invece è un po’ una costante nel tuo percorso artistico, collaborate già da molto tempo!
Sì, è davvero una costante perché era uno dei due produttori già del primo disco del mio primo gruppo! Poi abbiamo fatto un ep da soli, e comunque anche quando lui non lavora con me a livello di produzione gli faccio sempre sentire tutto per avere un parere. Era giusto che ci fosse in questo disco perché ho ripreso un percorso più rap iniziato con lui, quindi sono stato molto contento.
Sei appena uscito con questo nuovo album ma in realtà hai concluso da poco un tour live. Hai intenzione di fare poche date e fermarti un po’ per poi riprendere più avanti o suonerai tanto in giro già da subito?
Purtroppo mi sono fatto male i calcoli e sinceramente sono un po’ stanco! (Ride) Però certo ho intenzione di suonare tanto, anche perché l’album sta andando già molto bene. Sono sicuro che sarà un altro di quei dischi che si espanderà a macchia d’olio!
Come porterai live questo lavoro?
Suoneremo in quattro: io alla voce con un pedale con degli effetti, un chitarrista anche con una pedaliera multieffetto, un dj che manda le sequenze e poi c’è il batterista con una batteria triggerata che suona praticamente ogni pezzo con una batteria diversa, per me che vengo dal rap questo strumento è importantissimo.
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